Gita Sociale in Puglia: la Valle d'Itria

Dal 22/04/2023 Al 25/04/2023
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DATA da sabato 22 a martedì 25 aprile
Titolo Gita Sociale in Puglia
Difficoltà T/E
Accompagnatori Matteo Zama (cell.3488112271)
DATA da sabato 22 a martedì 25 aprile
Titolo Gita Sociale in Puglia: la Valle d'Itria
Descrizione: Torniamo in Puglia per percorrere un tratto del Sentiero Italia che corre lungo l'Acquedotto Pugliese, uno dei maggiori canali per acqua potabile d'Europa. 
Per maggiori informazioni riguardo logistica ed iscrizioni, consultare la documentazione allegata.
Difficoltà T/E
Iscrizioni: da giovedì 26 gennaio a giovedì 30 marzo, anticipo €. 150, massimo 55 posti.
Accompagnatori Matteo Zama (cell.3488112271), Laura Bettoli (cell.3470569098)

Di seguito la descrizione dettagliata dell'uscita:

TRAVERSATA DELLA VALLE D’ITRIA lungo il SENTIERO ITALIA
Cisternino – Locorotondo - Martina Franca - Alberobello
Uno dei tratti più belli del Sentiero Italia nel tracciato pugliese è sicuramente quando questo attraversa, ricalcando il percorso dell’Acquedotto Pugliese, la stupenda e famosa Valle d’Itria. 
La Valle d’Itria, anche chiamata Murgia dei trulli, posta fra le provincie di Bari, Taranto e Brindisi si caratterizza per la bellezza di luoghi campestri e paesaggi agricoli modellati sapientemente dall’uomo che nel tempo ha realizzato muretti a secco, trulli, piccoli borghi e masserie alternate a campi, prati, pascoli, vigneti, uliveti e boschi di macchia mediterranea, in un luogo unico e affascinante. La nostra “traversata” non passa direttamente dai paesi citati, ma siccome sono profondamente legati al territorio circostante e soprattutto visibili dal territorio come “sentinelle” a protezione dello stesso, non si può escluderli dal contesto per dare maggiore valore e completezza all’uscita. 
1° giorno (sabato 22 aprile)
Finalmente arrivati a destinazione in Terra di Puglia, dopo un viaggio lungo, ne approfittiamo per un pranzo locale a Cisternino e per fare visita a due paesi, per sgranchirci le gambe e non solo: Cisternino e Locorotondo.
 CISTERNINO: 
Il piccolo paese di Cisternino, “Cisternium” da “cis-sternium” ossia al di qua di “Sternium”, l’attuale Ostuni. Il centro storico medioevale è caratterizzato dall’architettura spontanea, un crogiolo di vicoli, stradine e palazzi, un piccolo dedalo di vie e slarghi dove si alternano case bianche di calce, balconi adorni di gerani, scalinate, logge e archi. 
LOCOROTONDO: 
il borgo forse più bello. Situato in alto in cima alla collina e posto a “coroncina” attorno ad essa. Il suo centro storico si sviluppa in una forma circolare, dalla quale ne deriva il nome del borgo in latino “Locus Rutundus” ossia luogo rotondo. 
Il centro storico medioevale è caratterizzato dal colore bianco delle sue case, alternato al colore della pietra calcarea delle sue chiese, oratori e dei tetti molto spioventi a due falde, a lastre (le “cummerse”) delle case che ne danno un tono magico ed un gusto “nordico” aggraziato dalle fattezze mediterranee. Le viuzze strette e contorte del borgo dal caratteristico pavimento liscio delle “chiache”, si snodano in maniera concentrica e si uniscono alle case addossate le une alle altre creando portici e gallerie in un contesto affascinante.

2° giorno (domenica 23 aprile)
Il secondo giorno iniziamo la nostra “traversata” nel tratto più selvaggio del percorso, caratterizzato da fitti boschi di macchia mediterranea. Nel punto in cui la S.P. 77 Canale di Pirro-Coreggia interseca l’Acquedotto Pugliese, c’è un caratteristico ponte canale dell’acquedotto, cui passiamo sotto percorrendo la strada con il pullman e subito dopo a sinistra ci fermiamo in prossimità di un’area attrezzata con tavoli, panche e giochi per bambini. Da qui saliamo, seguendo il sentiero, sulla spalla del ponte che non attraversiamo, ma seguendo il tracciato dell’Acquedotto ci dirigeremo in direzione sud-est. 
Stiamo attraversando il Bosco Calmerio, caratterizzato dalle querce fra cui roverelle, farnie, cerri, lecci, querce spinose e soprattutto il fragno, “Quercus Trojana”, che trova qui, nella parte più meridionale delle Murge e nella Murgia Materana, l’unico suo habitat italiano, ma anche da aceri, frassini, fichi, pruni spinosi, biancospini ecc.. Questi boschi sono “belli” sempre, tutto l’anno, sono infatti caratterizzati per la maggioranza da alberi sempreverdi. 
Proseguendo lungo il tracciato attraversiamo il Ponte Canale della Cecca, altro splendido manufatto dell’Acquedotto Pugliese, dal quale il nostro sguardo a sinistra può spaziare per tutto il Canale di Pirro fino alla cima del versante opposto, la Selva di Fasano (area naturale protetta). Ci troviamo a camminare a mezza costa lungo il versante meridionale del Canale di Pirro o Canale delle Pile, “Pire” in dialetto locale, che danno il nome al luogo. 
Queste erano antiche cisterne per l’acqua scavate nella roccia che recuperavano l’acqua che scendeva nel canale prima che “sparisse”. Siamo, infatti, in un’immensa dolina, la più grande del territorio con un inghiottitoio nella parte più bassa, il “Gravaglione” (termine locale). 
Le Murge sono un territorio carsico, dove l’acqua scompare per riemergere in sorgenti all’altezza della linea di costa, talune anche in mare. Nella zona del Canale di Pirro non troviamo più le Pile, l’unica rimasta si trova nei pressi di Castellana Grotte, ma sono ancore presenti le “Fogge” costruite in seguito perchè più capienti. La Foggia è una fossa o meglio una vasca costruita nel terreno, al termine dei canali, prima dell’inghiottitoio e rivestita in materiale impermeabile. Una Foggia, ben visibile e risistemata, è all’ingresso della masseria che ci ospita, vicina alla strada (la Foggia pubblica Torricella). 
Proseguiamo avendo alla destra la cima del Monte Tondo (400 mt.) ed attraversiamo il Ponte Canale S.Marco detto anche Ponte Canale di Monte Tondo. Appena dopo il ponte una frana costringe il tracciato del Sentiero Italia al di fuori del percorso dell’Acquedotto Pugliese e tramite carraie, fiancheggiate da muretti a secco, prima in leggera discesa e poi con una discreta salita e discesa si oltrepassa una collina e ci si riporta sul tracciato dell’acquedotto. Abbiamo nel frattempo abbandonato la macchia per trovarci in un ambiente prettamente agricolo, dove prati a pascolo e filari di vite si alternano.
Qui possiamo vedere Cocolicchio, questa splendida borgata contadina, caratterizzata da un agglomerato di trulli con al centro la chiesa parrocchiale che conserva ancora le tradizioni, usi e costumi di un tempo. Passiamo poi in prossimità di trulli campestri e masserie sormontate dai trulli ottimamente restaurate per la ricettività e in prossimità di aziende agricole con frantoi modernizzati che producono una eccellenza locale.
Si abbandona nuovamente l’acquedotto per salire, tramite stradina asfaltata, sulla S.S. 172 Bari–Taranto. Il tracciato finirebbe comunque dopo qualche decina di metri e la causa questa volta non è una frana, ma per superare il dislivello della contrada Mancini in comune di Locorotondo, l’acquedotto prosegue in galleria; l’acqua prosegue in una lunga galleria scavata nella roccia e il tracciato in superficie si perde.
Attraversata la strada statale ne percorriamo un piccolo tratto a destra verso Locorotondo per poi prendere, in salita, la strada della Contrada Mancini, altro borgo rurale posto in cima alla collina e caratterizzato dai trulli. All’uscita della contrada la strada si mantiene in leggera discesa sul crinale fra muretti a secco e uliveti. Si arriva ad una strada più grande dove giriamo a destra percorrendola per qualche centinaio di metri e lasciandola svoltando a sinistra nella strada di Contrada Nardelli che si mantiene in piana. Passiamo vicino a trulli di campagna isolati, alcuni dei quali completamene addossati al muretto a secco che perimetra la strada, incontriamo prima un quadrivio dove proseguiamo dritto e poi un bivio con una stradina stretta a destra che percorriamo per arrivare in cima al borgo di Contrada Nardelli. Qui il percorso ritorna sterrato seppure per poco. Da qui in leggera discesa fino alla S.S. 226 che attraversiamo e proseguiamo per la strada della Contrada Contini. Notiamo che il percorso è più selvaggio e i coltivi si alternano alla macchia mediterranea. 
Arriviamo al borgo di Contrada Contini dove la strada si “adatta” passando in mezzo ai trulli, stringendosi parecchio e curvando ben due volte attorno a questi per poi tornare in rettilineo. In fondo alla strada all’incrocio giriamo a sinistra sulla strada Contrada Mavugliola in discreta discesa fino ad intersecare nuovamente il tracciato dell’Acquedotto Pugliese che qualche decina di metri prima è “riaffiorato” dalla galleria. 
Il Sentiero Italia si mantiene ora in maniera stabile sul tracciato dell’acquedotto e scendendo leggermente si arriva sulla S.P. 134 che collega Locorotondo a Cisternino, che attraversiamo arrivando in breve a Figazzano, tappa cruciale del viaggio. Parte da qui un tratto restaurato, molto ben curato e valorizzato del percorso dell’Acquedotto Pugliese.
L’Acquedotto Pugliese, la poderosa via dell’acqua, la vena della Puglia (meglio arteria vitale),  l’acquedotto più grande d’Europa e uno dei più grandi al mondo, qui mostra tutta la sua bellezza in una veste nuova, rifatta con un selciato nuovo, pannelli dimostrativi dei singoli manufatti e la messa in sicurezza dei muretti dei ponti canale. A Figazzano è presente, all’inizio del tratto valorizzato, una nuova area attrezzata per la sosta e il ristoro per escursionisti e ciclo-turisti dove facciamo la nostra pausa.
Al termine della nostra pausa raggiungiamo la vicina sede del G.A.L. Val d’Itria (Gruppo Azione Locale), ricavata da un “casello” dell’acquedotto ristrutturato e valorizzato. Il casello dell’acquedotto serviva come dimora del custode in servizio all’Elevatore Idrico di Figazzano e adesso è un vero e proprio centro visita del territorio. Il G.A.L è impegnato nella valorizzazione del territorio rurale della Valle d’Itria, promozione agricola e agrituristica e di produzione dei prodotti locali agricoli e artigianali. Accolti dal personale del G.A.L assisteremo ad una breve spiegazione della loro “mission” e dell’importante manufatto dell’acquedotto, posto di fronte alla sede, che è l’Elevatore Idrico di Figazzano. 
L’elevatore serve sostanzialmente per sollevare l’acqua, ma non quella del condotto principale che prosegue con pendenza costante, ma, da questo, per rimetterla nei condotti laterali, in pressione, per i centri abitati di Martina Franca, Locorotondo e Cisternino posti più in alto rispetto all’acquedotto. Altra nota di interesse a Figazzano, sempre in prossimità del nostro tracciato, sono i giardini di Pomona. Un’associazione culturale (Pomona Onlus) cura questo giardino come habitat per la flora spontanea ma soprattutto come conservatorio botanico delle varietà tradizionali degli alberi da frutto in via di estinzione e delle cultivar dimenticate della Valle d’Itria. Obbiettivo dell’associazione è la divulgazione e promozione dell’importanza della biodiversità vegetale legata alla diversificazione alimentare come strumento di salute per l’uomo e come riscoperta di sapori, odori, profumi e colori dimenticati. 
Riprendiamo il cammino in maniera più spedita senza continui cambi di direzione e dopo il passaggio sul Ponte Canale Figazzano attraversiamo in sequenza le contrade di Cisternino fra cui le contrade Martellotti, Cervillo, Soluco, Portarino, Fantese, La Fica, Santoro e Galante; alcune di queste danno i nomi ai ponti canali che attraversiamo. Dopo le contrade di Cervillo e di Soluco si arriva sulla S.P. 13, che attraversiamo, da qui a sinistra scorgiamo il rilievo di Monte Castel Pagano (366 metri) avvolto dalla macchia mediterranea. 
Questo luogo, misterioso dalle grotte che in esso si nascondono, ha sempre attirato l’attenzione di studiosi locali e appassionati di avventure. Interessante l’attraversamento del lungo Ponte Canale Galante posto in curva, è il più lungo di tutto l’acquedotto, ben 559 metri con sotto l’affascinante contrada omonima con panorami agresti che sembrano usciti dalla tavolozza di un pittore, in un ritratto unico al mondo che ci fanno sognare. Verso la fine del nostro tratto e dopo la Contrada Galante torniamo ad immergerci completamente nei boschi di macchia mediterranea per arrivare alla S.P. ex SS.581 dove, all’uscita dal bosco e fiancheggiando per 300 metri la strada, ci risvegliamo dal torpore di un sogno magnifico per ritornare alla realtà. Troviamo il nostro pulmann che ci riporta in masseria. 
Acquedotto Pugliese: due parole su un’opera ingegneristica unica
 
L’Acquedotto Pugliese è una grande via d’acqua, il più grande d’Europa ed è costituito da due condotte storiche: il Canale Principale, da Caposele (AV) a Villa Castelli (BR), che in soli nove anni (1906-1915) riuscì a far arrivare l’acqua a Bari, ed il Grande Sifone Leccese, che dal punto terminale del primo giunge fino a Santa Maria di Leuca (LE).
Questa opera faraonica voluta per sanare l’atavica sete della “Puglia sitibonda” fu cominciata più di un secolo fa e terminata in tempi record e ha contribuito a togliere questa parte di Italia, dal “medioevo” e dall’arretratezza. Ha unito tutti i paesi della regione e questa all’Italia, in una nuova identità nazionale. Ho usato la parola medioevo per definire lo stato di schiavitù permanente che vedeva gli uomini pugliesi al servizio dell’acqua. Sfruttando al massimo l’acqua piovana, conservandola, poi sempre alla ricerca continua e al trasporto di acqua dai monti alla pianura, dalle campagne alle città, da paese a paese; la manovalanza impegnata costantemente nel trasporto dell’acqua veniva inevitabilmente tolta alla produzione agricola. 
L’acqua, come ci insegnano gli antichi romani, si sposta per forza di gravità e una leggera pendenza dalla presa all’utilizzo è sufficiente per percorrere distanze lunghissime. Per superare le asperità del territorio pugliese e delle Murge sono necessari ponti che attraversano avvallamenti, canali, lame ecc. e lunghe gallerie per attraversare colline. L’Acquedotto Pugliese è come una lunga ferrovia costruita senza pendenze e dislivelli. I suoi ponti canali sono simili ai ponti ferroviari. Patrimonio, unico nel suo genere, di archeologia industriale Italiano, non concentrato in una grigia area di periferia cittadina ma diffuso e spalmato nel territorio e perfettamente integrato ad esso, crea una valorizzazione ulteriore di un ambiente già spettacolare. Altri importanti manufatti lungo il tracciato sono le casupole, ossia gli edifici di ispezione dell’acqua che troviamo a cadenza regolare lungo il percorso e con una lapide sopra la porta che segna i chilometri dall’inizio e quelli che mancano alla fine. Poi le tipiche fontanine in ghisa poste in basso all’altezza dell’acqua alle quali si accede con scale ripide, ed ancora serbatoi pensili, sollevatori idrici e centrali idroelettriche.
 
3° giorno (lunedì 24 aprile)
Ripartiamo dal punto di arrivo del giorno prima in direzione sud verso Villa Castelli e dopo circa tre chilometri ci troviamo all’ombra di un bosco di alti pini d’Aleppo; è la Pineta Ulmo, in territorio di Ceglie Messapica, a 325 metri sul livello del mare. Un’area di circa 10 ettari immersa nella macchia mediterranea. 
La piantumazione della Pineta Ulmo risale alla riforma agraria del 1950, dopo l’esproprio ai latifondisti e l’assegnazione ai contadini di un ettaro per famiglia, destinato alla coltivazione di vigne, frutteti, orti e uliveti. In questa zona, essendo particolarmente rocciosa ed inadatta all’agricoltura, fu decisa la realizzazione di un polmone verde destinato al pubblico utilizzo come parco. 
Usciti dalla Pineta Ulmo ci ritroviamo ad attraversare coltivi non intensivi con uliveti dagli alberi di ulivo radi e maestosi alternati a fasce di macchia mediterranea. Poi ancora un piccolo bosco di macchia e all’uscita da questo, in mezzo ad una radura a destra, scorgiamo un maestoso esempio di fragno isolato che ci colpisce per la sua grandezza. 
Il paesaggio di estrema bellezza si mantiene simile per tutto il percorso fino all’attraversamento di una strada grande (provinciale 66) che da Martina Franca porta a Villa Castelli. Attraversiamo contrada Specchia Tarantina dal quale il nome rimanda alle “specchie” questi cumuli di sassi realizzati con la sovrapposizione a secco di lastre calcaree, che caratterizzano il territorio circostante e probabilmente utilizzate in passato come punti sopraelevati per l’avvistamento (specula).
Poi il tracciato posto su una massicciata rialzata porta in breve al Monte Fellone (350 mt.), dove entriamo in un “parco” dell’Acquedotto Pugliese. Il punto è di notevole interesse per il nostro percorso, rappresenta infatti un limite, un confine. Qui finisce il condotto principale dell’Acquedotto Pugliese e comincia il Grande Sifone Leccese. 
Qui finisce la Valle d’Itria e finiscono le Murge. Davanti a noi e sotto alla linea di cresta della Murgia, la “Soglia Messapica”, dove le Murge finiscono e si apre ai nostri occhi la Piana Brindisina e la Pianura Leccese con la visione che arriva, a destra, fino a Taranto, al suo golfo e alle sue industrie. Finirebbe anche per noi il tracciato se non che la discesa dal Monte Fellone fino ad un traguardo vicino non è trascurabile perchè di rara bellezza. 
Qui, all’inizio del Grande Sifone Leccese e sfruttando la caduta eccezionale dell’acqua dal Monte Fellone, è stata costruita una centrale idroelettrica, tuttora perfettamente funzionante, ristrutturata e rigenerata a nuovo recentemente, per la produzione di energia pulita: la centrale idroelettrica di Battaglia nella contrada omonima, imponente opera di archeologia industriale, perfettamente integrata con il territorio. Nel “parco” di Monte Fellone è presente la camera di arrivo del condotto principale e la camera di carico per la centrale. 
Monte Fellone è importante anche come sito archeologico, è infatti uno degli insediamenti umani più antico del territorio, e i numerosi reperti e ritrovamenti dalla grotta omonima testimoniano la funzione difensiva di demarcazione e di controllo del territorio (per questo le specule o specchie) che vedevano i Messapi, abitanti originari dei luoghi, arroccati sulle Murge al contrasto con la “Magna Grecia”, Brindisini e Tarantini di provenienza ellenica. 
Scendendo dal monte Fellone perdiamo il tipico stradello dell’acquedotto perché per il Grande Sifone Leccese non fu prevista la costruzione di una strada di servizio sopra al condotto; tramite sentiero prima in leggera discesa ci inoltriamo nella macchia mediterranea e dopo circa 150 metri in ripida discesa abbandoniamo il monte e lentamente arriviamo al piano. Da qui una carrareccia che costeggia un fosso per l’acqua piovana che scende dal monte, ci porta di fronte alla centrale idroelettrica punto di arrivo del nostro tracciato. 
La centrale idroelettrica di Battaglia fu costruita per sfruttare il “salto motore” del territorio. Il brusco salto che dal Monte Fellone in località Martina Franca (TA) fino alla centrale in località Villa Castelli (BR) è di 120 metri.
Il sito di archeologia industriale è composto dalla centrale, dalla camera smorzatrice, un fabbricato di deposito con forno a legna utilizzato anche come fucina e una casa cantoniera doppia (per il capo meccanico manovratore e per l’addetto alla smorzatrice). La centrale è costituita da un’imponente volume articolato in due porzioni distinte. Il corpo più basso a due volumi e con tetto a due spioventi, è un’unica sala macchine e ospita le turbine originali e centenarie di tipo “Francis” ad asse orizzontale e dalla camera forzata a spirale, regolatori automatici, alternatori e quadri di comando dell’epoca uniti alla nuova turbina di tipo “Peltron” ad asse verticale, sovrastata dal nuovo alternatore e i nuovi quadri di comando PLC, comandabili da remoto con un sistema di telecontrollo e telecomando. Il restante corpo di fabbrica, più elevato, fatto a “L” a tre piani, ospita le apparecchiature elettriche di media e di bassa tensione, la cabina elettrica con gli alternatori, trasformatori, sezionatori e contatori di misura, poi ancora un’officina e in alto l’appartamento del custode mentre al piano interrato ospita il canale di scarico delle turbine collegato direttamente alla camera smorzatrice che serve per la regolazione della pressione quando le turbine non sono in funzione e l’acqua viene deviata direttamente ad essa. 
Dalla centrale seguiamo la strada asfaltata campestre in direzione Villa Castelli per portarci sulla strada provinciale S.P. 24 e, se i tempi lo permettono, una piccola visita libera a Villa Castelli.
Al di fuori della Valle d’Itria fa parte della Murgia prima della Soglia Messapica, alle pendici dei Colli Fellone e Scotano, è parte del Parco Naturale Regionale Terra delle Gravine, un parco frammentato e diffuso attorno a Taranto, dove la discesa dalle Murge al piano forma appunto le gravine (gravine joniche), questi abissi/canyon dalla straordinaria bellezza. Quella di Villa Castelli, situata nel margine orientale del parco, è piccola ma graziosa e ospita il giardino botanico e un frantoio ipogeo del 18°secolo. 
MARTINA FRANCA:
Ultima destinazione della giornata ma non meno importante, è la città di capoluogo della Valle D’Itria, abitato più popoloso e dal vasto territorio comunale, con le sue eccellenze enogastronomiche le quali possono fungere da ricordo per portare a casa un assaggio o un sorso della Valle d’Itria. Il centro storico dall’aspetto signorile è prettamente barocco e rococò e rappresentato dalle numerose chiese e palazzi nobiliari costruiti nel 18° secolo, le stradine strette con numerosi vicoli ciechi si aprono a slarghi e piazze in corrispondenza delle chiese. 

4° giorno (martedì 25 aprile)
L’ultimo giorno, prima del viaggio di ritorno, torniamo turisti e visitiamo il borgo più famoso della valle d’Itria: Alberobello. 
ALBEROBELLO 
Alcuni dei suoi quartieri sono caratterizzati dall’unica presenza della tipologia costruttiva del trullo che nel tempo ha svolto le funzioni di abitazione, bottega artigiana ma anche ricovero di animali e attrezzi agricoli. Queste originali costruzioni sono in pietra a secco imbiancate con calce viva e dal tetto a forma di cono fatto di pietre a vista. Croci, cuori trafitti e simboli zodiacali decorano il tetto di ogni trullo conservando intatto il loro mistero. La “distesa” dei trulli è stata riconosciuta dall’Unesco come patrimonio mondiale dell’Umanità. 
(Relazione a cura di Matteo Zama - A.S.E. CAI Faenza)

Documentazione allegata

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